di Patrizio Caini
biologo, ricercatore, analista comportamentale, giornalista pubblicista
Per la rubrica:Curiosità e misteri nel mondo della psicologia, antropologia e spiritualità
Quando gli animali, incluso l’uomo, comunicano, lo fanno attraverso tutti e cinque i sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto. Nell’uomo, ad esempio, il principale canale comunicativo, quello non verbale, che rappresenta il 55% della comunicazione, si basa sulla vista. La Comunicazione Non Verbale (C.N.V.), infatti, riguarda le espressioni facciali o emozionali e il comportamento motorio-gestuale e posturale, che comprende gesti, movimenti e posture del corpo, tutti sotto-canali comunicativi che richiedono l’osservazione e, quindi, la vista, per essere “letti” ed interpretati. Anche il Linguaggio dei Segni utilizzato dai non udenti si basa sulla vista, senza la quale non sarebbe possibile decifrare i segni delle mani, come pure la scrittura, che non è altro che una rappresentazione grafica della lingua parlata, mediante un insieme di segni, detti grafemi; fa ovviamente eccezione il braille[1], che, essendo un sistema di scrittura e lettura a rilievo sviluppato per i non vedenti e gli ipovedenti, si basa su un altro senso, quello del tatto. Gli altri due canali comunicativi utilizzati dall’uomo sono la comunicazione verbale (C.V.), che rappresenta soltanto il 7% della comunicazione, e la comunicazione para-verbale (C.PV.), che ne rappresenta il 38%. Dal momento che la prima riguarda parole fonologiche o orali, che sono suoni articolati, e la seconda la voce, più precisamente il volume, il tono e il ritmo della voce, il senso coinvolto in entrambi i casi è quello dell’udito. L’uomo è in grado di udire soltanto suoni di frequenza compresa tra 20 Hz[2] e 20000 Hz ma vi sono diversi animali che hanno un udito molto più sviluppato, riuscendo a percepire suoni di frequenza inferiore a 20 Hz, detti infrasuoni, e di frequenza superiore a 20000 Hz, chiamati ultrasuoni; sia gli infrasuoni sia gli ultrasuoni vengono anche utilizzati per comunicare, come nel caso degli elefanti e dei coccodrilli per i primi e dei pipistrelli e dei delfini per i secondi. In molti animali, decisamente meno nell’uomo, l’olfatto e il gusto mediano la comunicazione chemio-recettiva, che avviene grazie al legame tra i feromoni[3] ed altre biomolecole e specifici recettori di membrana, detti chemiocettori. Nel regno animale è molto importante anche il senso del tatto, attraverso cui si attua la comunicazione tattile, sviluppatasi, nell’uomo, a partire dalla percezione aptica o aptica, cioè da quel processo di identificazione degli oggetti che si compie attraverso il tatto. Ecco, quindi, che azioni per noi banali, come una stretta di mano, un abbraccio o una pacca sulla spalla, assumono un significato importante nell’ambito della C.N.V., perché veicolano messaggi ed informazioni riguardanti lo stato emotivo e le intenzioni di chi le compie.
Gli animali ma anche le piante (!), utilizzano moltissime differenti forme di comunicazione; qui se ne prenderanno in esame soltanto tre, quel tanto che basta per dare un’idea di quanto la comunicazione nel regno animale sia complessa e diversificata. Si inizierà con la danza delle api (genere: Apis), per proseguire con il canto dei delfini (ordine: cetacei, sottordine: Odontoceti) e concludere con la strana lingua dei boscimani (Homo sapiens).
Il “linguaggio” delle api è estremamente complesso, poiché si basa sulla chemio-recezione e su stimoli tattili, visivi ed uditivi; la danza delle api[4] è parte integrante di tale “linguaggio”. Vediamo più in dettaglio in cosa consiste. Tra le api operaie vi sono quelle incaricate di cercare una sorgente di nettare, di polline o di acqua e quelle che hanno invece il compito di cercare un luogo ove costruire un nuovo nido; le prime sono dette bottinatrici, le seconde esploratrici. Una volta conclusasi la ricerca, tornano al loro alveare e se hanno avuto successo, segnalano alle “coinquiline” l’ubicazione della sorgente di cibo o del luogo in cui costruire il nuovo nido, eseguendo, all’interno dell’alveare e al buio, una peculiare danza a forma di otto. Essa viene eseguita su una superficie verticale dell’alveare e consiste in un numero variabile di circuiti, da 1 a 100 o più, ognuno dei quali comprende 2 fasi: la fase di “ondeggiamento” e la fase di “ritorno”. Durante la danza, l’ape “disegna” un otto, definito da uno spostamento verticale ondeggiante (la fase di “ondeggiamento”), seguito da uno spostamento semicircolare verso destra o verso sinistra fino al punto di partenza (la fase di “ritorno”), da cui viene compiuto un altro spostamento verticale ondeggiante, seguito da uno spostamento semicircolare in direzione opposta rispetto al primo. La direzione e la durata della fase di “ondeggiamento” indicano, rispettivamente, la direzione e la distanza della sorgente di cibo o del luogo in cui costruire un nuovo alveare. Se la fase di “ondeggiamento” viene compiuta verso l’alto, l’oggetto della ricerca delle api operaie si trova nella direzione del Sole, tra questo e l’alveare mentre se la fase di “ondeggiamento” viene compiuta verso il basso, l’oggetto della ricerca si trova nella direzione del Sole ma nel verso opposto rispetto al caso precedente, cioè dalla parte opposta rispetto all’alveare. Se, invece, lo spostamento della fase di “ondeggiamento” avviene lungo una direttrice che forma un angolo di determinata ampiezza con la direzione del Sole rispetto all’alveare, l’oggetto della ricerca si trova in una direzione inclinata dello stesso angolo rispetto alla direzione del Sole. Tanto più lontano è l’obiettivo, quanto più lunga è la fase di “ondeggiamento”. È stato calcolato che 75 millisecondi circa in più nella durata di questa fase corrispondono ad una distanza di 100 metri. Si è osservato che anche il ritmo della danza svolge un ruolo importante nel fornire informazioni sulla distanza dell’obiettivo rispetto all’alveare; in generale, se il numero delle danze eseguite in 1 minuto aumenta di 4 volte, la distanza rispetto all’alveare si riduce di 1/10, infatti, se in 1 minuto vengono eseguite 4 danze, l’obiettivo si trova a circa 10 chilometri mentre se nello stesso arco di tempo ne vengono eseguite 16, l’oggetto della ricerca si trova a circa 1 chilometro. La durata e la vivacità della danza indicano, inoltre, la qualità della sorgente alimentare!
Anche il linguaggio dei delfini è molto complesso e ancora poco compreso; esso consiste in fischi, schiocchi, squittii, grugniti e strilli. Studi recenti sembrano indicare che alcuni delfini sviluppino un proprio fischio nel primo anno di vita, che utilizzano, poi, come una sorta di nome! È noto che i delfini comunicano tra loro usando 2 differenti tipologie di segnali acustici: i suoni, con frequenza compresa tra 20 Hz e 20000 Hz, detti segnali di vocalizzazione e gli ultrasuoni, con frequenza compresa tra 20000 Hz e 200000 Hz, chiamati segnali sonar o di eco-localizzazione. I primi sono innati e legati agli stati emotivi e alla fase del corteggiamento, i secondi sono utilizzati per valutare la distanza, la forma, le dimensioni e lo spessore sia degli oggetti sia degli esseri viventi. Il tursiope o delfino dal naso a bottiglia (Tursiops truncatus), ad esempio, comunica con gli individui della propria specie utilizzando 14 segnali acustici differenti, principalmente squittii e fischi. I delfini sono anche in grado di comprendere alcune centinaia di parole pronunciate dall’uomo e persino di decifrare semplici combinazioni di termini. Da anni gli etologi e i biologi marini cercano di comunicare con i delfini, attraverso un linguaggio dei segni simile a quello utilizzato dai non udenti e più recentemente, con una serie di simboli riportati su una tastiera opportunamente “disegnata” per questi magnifici cetacei.
La lingua più strana che mi sia mai capitato di ascoltare, durante un viaggio compiuto in Namibia anni fa, è, senza dubbio, quella dei Boscimani, conosciuti anche come San, Khwe o Basarwa, un popolo di cacciatori-raccoglitori che vive nella regione desertica del Kalahari (il sesto deserto più grande del mondo), tra Sudafrica, Namibia e Botswana. Il termine “boscimani” deriva dall’inglese “bushmen”, che significa letteralmente “uomini della boscaglia”, che, a sua volta, deriva dall’afrikaans “boesman”. La lingua parlata dai Boscimani non è la sola peculiarità dell’ambito comunicativo che si riscontra nella loro cultura, infatti questo popolo ha sviluppato anche un particolare sistema di comunicazione manuale, basato sui gesti delle mani ed utilizzato durante la caccia per comunicare a distanza, senza produrre rumori e, quindi, senza allarmare le prede e altri predatori naturali, come leoni e leopardi. Ma torniamo ora allo strano idioma dei Boscimani. In realtà, non si tratta di un’unica lingua ma di più lingue differenti, conosciute come “lingue clic”, appartenenti alla famiglia linguistica khoisan. Benché, come detto, siano differenti, le lingue khoisan sono tutte caratterizzate dalle cosiddette consonanti clic, simili a schiocchi, trascritte con segni grafici, quali “|”,”/” o “!”. Le consonanti clic o click sono consonanti non polmonari prodotte facendo schioccare la lingua contro il palato o contro i denti. Per quanto possa sembrare strano, le lingue khoisan presentano curiose analogie con l’italiano, infatti anche noi utilizziamo un’occlusiva dentale clic per dire “no” e la stessa occlusiva dentale, pronunciata con le labbra protruse in avanti, viene utilizzata per richiamare l’attenzione dei gatti! Provare per credere.
Facciamo adesso alcune considerazioni di carattere generale sul linguaggio, partendo dalla neurolinguistica, nata dall’incontro tra le neuroscienze e la linguistica, secondo cui la struttura di una lingua dipende direttamente dall’architettura cerebrale. In questo contesto si inserisce la celebre ipotesi di Sapir-Whorf[5], nota anche come “relativismo linguistico”, secondo cui la lingua determina il modo in cui si percepisce la realtà[6], tuttavia, tale ipotesi non è valida in senso assoluto, come dimostra il seguente esempio: l’italiano ha il tempo futuro mentre il finlandese no, per cui, se l’ipotesi di Sapir-Whorf fosse sempre valida, i finlandesi non dovrebbero comprendere il concetto di futuro ma ciò, ovviamente, non è vero! In realtà, il linguaggio e la cognizione sono in qualche modo interconnessi, come prevede l’ipotesi di Sapir-Whorf ma non in modo deterministico. In generale, quando si deve decifrare un linguaggio, è più facile farlo se questo è parlato, meno se è scritto; in ogni caso, se si vuole decifrare e comprendere una lingua totalmente sconosciuta, occorre innanzitutto verificare la presenza di pattern, cioè di schemi che, all’interno di un periodo, tendono a ripetersi. Ma quali sono le caratteristiche principali di un idioma? Innanzitutto, la capacità di veicolare un gran numero di informazioni, unita alla possibilità di produrre significati nuovi e potenzialmente infiniti, ricombinando un numero finito di elementi; si deve, quindi, poter costruire un numero virtualmente infinito di frasi, utilizzando un numero finito di parole, proprietà nota come ricorsività. Una qualsiasi forma di comunicazione, per essere efficace, deve possedere queste caratteristiche. In secondo luogo, una lingua, per essere ritenuta tale ed essere compresa, deve includere un lessico o vocabolario, che deve essere noto, almeno in parte. Un’altra caratteristica delle lingue è rappresentata dal fatto che il loro utilizzo è strettamente legato al mezzo fisico che le veicola. Vediamo alcuni esempi. Il linguaggio parlato, essendo formato da suoni, può essere utilizzato solo nel caso in cui sia possibile generare onde acustiche (due persone nello spazio non potrebbero parlarsi, poiché lì manca l’aria, senza la quale le onde acustiche non possono formarsi) ed elettromagnetiche (se i suoni non potessero essere convertiti in impulsi elettrici e poi in onde elettromagnetiche e viceversa, non potremmo parlare con una persona che si trova a migliaia di chilometri di distanza con un telefono satellitare). Lo stesso dicasi per il linguaggio scritto, che, essendo formato da grafemi, è anch’esso strettamente legato alle onde elettromagnetiche (si può leggere un libro soltanto in presenza di luce e la luce è un’onda elettromagnetica). Le onde elettromagnetiche sono essenziali anche per l’utilizzo del linguaggio dei segni, formato da gesti, poiché, al buio, non è possibile vedere la persona che li compie. Nel caso di una xeno-lingua (dal greco “xènos -e -on”, che significa “straniero”), cioè di una lingua sviluppata da intelligenze extraterrestri, quale potrebbe essere il mezzo fisico legato al suo utilizzo? Difficile dirlo, perché si tratterebbe di un qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che è conosciuto, pertanto anche il mezzo fisico potrebbe essere alquanto diverso, come, ad esempio, le onde gravitazionali (increspature dello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce nel vuoto), teorizzate da Albert Einstein (Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955) nel 1916 nell’ambito della sua teoria della Relatività Generale e rilevate sperimentalmente il 14 settembre 2015, grazie al L.I.G.O. (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory; Osservatorio Interferometro Laser delle Onde Gravitazionali), situato presso Livingston (Louisiana, U.S.A.) e Richland (Washington, U.S.A.) e soprattutto al rivelatore interferometrico di onde gravitazionali di Michelson VIRGO, che si trova nel comune di Cascina, in provincia di Pisa, in località Santo Stefano a Macerata.
Ed eccoci arrivati agli alieni. Già, perché l’eventuale contatto con una civiltà aliena tecnologicamente avanzata porrebbe diversi problemi a livello comunicativo, attualmente di difficile risoluzione. Una forma di vita intelligente sviluppatasi su altri mondi, infatti, potrebbe avere una morfologia non umanoide e un’anatomia, una fisiologia e una biochimica potenzialmente molto differenti da quelle di qualsiasi animale noto, incluso l’uomo; ad esempio, potrebbe avere un apparato fonatorio strutturalmente molto diverso da quello umano, il che comporterebbe l’emissione di suoni assai complessi e difficili da decifrare. Un’intelligenza evolutasi su un altro pianeta avrebbe anche un pensiero e schemi mentali molto diversi dai nostri, che potrebbero averla portata a sviluppare forme di comunicazione esotiche profondamente differenti da tutte quelle conosciute. A tal riguardo, vi è chi ha pensato alla telepatia, come possibile forma di comunicazione aliena, probabilmente ispirato o influenzato dai racconti dei presunti addotti (individui che sarebbero stati “rapiti” dagli alieni) e dei contattisti (individui che sarebbero in contatto telepatico con alieni o li avrebbero incontrati una o più volte), che riferiscono di avere comunicato telepaticamente con esseri provenienti da altri mondi, per lo più appartenenti alla tipologia extraterrestre dei Grigi. Delle possibili forme di comunicazione utilizzate dagli alieni per comunicare tra loro e delle differenti modalità in cui noi potremmo comunicare con loro, si sono occupati non solo gli ufologi ma anche molti ricercatori accademici, membri stimati della comunità scientifica internazionale, per lo più matematici, fisici, astronomi, biologi e linguisti. Per comunicare con intelligenze extraterrestri, alcuni linguisti hanno proposto di impiegare logogrammi, cioè piccoli disegni che indicano una parola o più parole[7]. Alcuni matematici, dal canto loro, hanno suggerito di utilizzare le costanti fisiche fondamentali o i numeri naturali o i numeri primi, convertiti in bit mediante il sistema numerico binario, il codice su cui si basa il funzionamento dei computer, perché tale codice si basa, a sua volta, su un concetto universale, ossia on-off, tutto-niente, 1-0, verosimilmente appartenente a qualsiasi schema di pensiero, anche al più esotico. Tra i linguisti, tuttavia, è opinione diffusa che la matematica non possa essere efficacemente utilizzata come mezzo di comunicazione in quanto in essa non è possibile codificare la grande quantità di informazioni trasmessa da un idioma. Da biologo, con conoscenze e competenze professionali nell’ambito della comunicazione verbale, para-verbale e non verbale, ritengo sia più efficace impiegare un linguaggio dei segni simile a quello utilizzato dai non udenti ma adattato alla peculiare morfologia aliena; ai fini dell’attribuzione del significato, i segni dovrebbero essere inizialmente associati ad oggetti o a immagini statiche o dinamiche, secondo una procedura analoga a quella seguita con i delfini e gli scimpanzé.
Una conferma della validità di quest’ultima soluzione potrebbe giungere da uno studio pubblicato su Scientific American e condotto da Daniel Leonard Everett (Holtville, 1951), un etnolinguista che lavora presso l’Università di Bentley, a Waltham, in Massachusetts, sui Pirahã (si pronuncia “pirahàn”), un’isolata popolazione tribale di cacciatori-raccoglitori, composta soltanto da circa 700 individui, che vive nel cuore della foresta amazzonica, sulle sponde del fiume Maici, nel Brasile nord-occidentale. I Pirahã hanno vissuto nel più totale isolamento geografico fino ad alcuni anni fa, lontani dal resto del mondo, sviluppando una cultura così differente da qualsiasi altra cultura nota, da poter essere considerati una sorta di “alieni” terrestri. Gli “alieni” dell’Amazzonia, come ho voluto ribattezzare i Pirahã, rappresentano, quindi, uno straordinario unicum nel panorama etnologico ed etnografico mondiale, pertanto studiare la loro cultura ed interagire con loro è un po’ come studiare una cultura extraterrestre ed interagire con i suoi membri. Come detto, i Pirahã si differenziano notevolmente da tutte le altre culture, avendo con esse poco o nulla in comune. Essi, infatti, non hanno miti, non hanno una storia che racconti il loro passato e le loro origini e non sanno quasi contare!!! Non sanno cosa significhi la proprietà privata, il potere e la guerra e vivono felici, in armonia tra loro e con l’ambiente che li circonda, la lussureggiante e rigogliosa foresta amazzonica. Nella loro piccola comunità non vi sono suicidi, perché non li concepiscono minimamente né disturbi mentali. I Pirahã, che sono poligami, non hanno una religione, non credono in alcuna divinità, credono soltanto in ciò che vedono, odono e toccano e non sono capaci di produrre pensieri astratti o che riguardino il lontano passato o il lontano futuro; essi vivono in funzione del presente. Insomma, una cultura veramente bizzarra. Come è facile intuire, anche il loro linguaggio rappresenta un unicum[8] tra le circa 7000 lingue parlate oggi nel mondo, potendo essere fischiato, cantato o mormorato, oltre che parlato! I Pirahã, inoltre, non hanno parole per indicare molti concetti, anche semplici ed essenziali, come destra e sinistra e non hanno quasi parole per indicare i numeri! Una parola ha diversi significati, i pronomi sono assenti, così come le regole linguistiche e il sistema fonetico comprende soltanto 8 consonanti e 3 vocali, caratterizzate, però, da una grande varietà di accenti e intonazioni, il che rende questo idioma una lingua politonica, come il cinese! Non vi sono anche parole come “buongiorno” o semplici frasi interrogative di circostanza come “come stai?”; ovviamente, non vi è anche una parola per indicare Dio! Dulcis in fundo, la lingua dei Pirahã non ha le cosiddette costruzioni ricorsive, per cui non è possibile inserire frasi all’interno di altre frasi, caratteristica, quest’ultima, alla base della grammatica generativo-trasformazionale[9] di Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928), linguista, filosofo, storico e teorico della comunicazione, Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology (M.I.T.), considerato il padre della linguistica del XX secolo. Studiando la cultura e la lingua dei Pirahã per diversi anni, Everett è giunto alla conclusione che è possibile imparare un nuovo idioma senza ricorrere ad alcuna altra lingua. Per apprendere il linguaggio dei Pirahã, infatti, ha semplicemente utilizzato una combinazione di gesti ed oggetti, un metodo che, a suo dire, consente di decifrare parole, espressioni e frasi di una lingua sconosciuta e culturalmente isolata, come quella degli “alieni” dell’Amazzonia. Secondo Everett, il suo metodo potrebbe essere utilizzato con successo anche per comunicare con una specie aliena!
Eccoci giunti al termine di questa breve digressione sulla comunicazione e la esocomunicazione (comunicazione con esseri intelligenti provenienti da altri mondi) ma prima di scrivere la parola “fine”, è opportuno richiamare l’attenzione su un’altra problematica che sorgerebbe nel caso in cui vi fosse un contatto ufficiale con una civiltà aliena tecnologicamente avanzata e si rendesse, quindi, necessario interagire con i suoi membri: la composizione del team incaricato di capire in che modo comunicare con le intelligenze extraterrestri e di sviluppare, quindi, un’appropriata forma di comunicazione. Alla luce di quanto è stato detto in questa disamina, la squadra dovrebbe essere composta, a mio parere, da un antropologo specializzato in antropologia cognitiva[10], uno psicologo comportamentale[11] esperto di comunicazione verbale, para-verbale e non verbale, un linguista specializzato in lingue orientali, un esobiologo[12] con una formazione biomedica, non astronomica, un fisico (astrofisico o cosmologo) e un matematico specializzato in teoria dei numeri[13] (aritmetica).
Non resta, quindi, che attendere il Primo Contatto, tanto per usare un’espressione cara alla celebre saga fantascientifica di “Star Trek” e vedere se saremo in grado di mettere a punto un’efficace forma di comunicazione con cui “parlare” con esseri provenienti da altri mondi.
Bibliografia.
- “Nuova Enciclopedia Universale Curcio – delle lettere, delle scienze, delle arti”. Armando Curcio Editore, 1968.
Sitografia.
- http://web.tiscali.it/kurschinski/la_danza_delle_api.htm
- http://www.treccani.it/enciclopedia/danza-delle-api_%28altro%29/
- http://www.moebiusonline.eu/Guardiamo/Danza_api.shtml
- https://www.zoomarine.it/Blog/Post/89/Linguaggio-dei-delfini-come-comunicano-questi-mammiferi-marini
- http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/scienza/2010/06/30/visualizza_new.html_1848345232.html
- http://www.greenstyle.it/il-linguaggio-dei-delfini-50158.html
- http://www.arianuova.org/it/il-linguaggio-dei-delfini
- https://it.wikipedia.org/wiki/San_(popolo)
- https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_di_Sapir-Whorf
- https://medicinaonline.co/2017/03/06/ipotesi-di-sapir-whorf-e-determinismo-linguistico-esempi-e-spiegazione/
- http://aulascienze.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/2017/03/03/arrival-e-la-linguistica/
- https://www.wired.it/scienza/lab/2017/01/25/arrival-interpretare-lingua-aliena/
- http://www.ilpost.it/2017/10/03/onde-gravitazionali/
- https://www.focus.it/scienza/scienze/che-cosa-sono-le-onde-gravitazionali
- http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2016/09/25/con-chomsky-avevamo-torto-la-grammatica-non-e-innata/
- https://sicapisce.wordpress.com/2009/06/29/non-dormire-ci-sono-serpenti-ovvero-buona-notte/
- http://www.ilpost.it/2013/10/19/piraha-lingua-senza-numeri-amazzonia/
- https://www.youtube.com/watch?v=kPbOh82VUN0
- http://www.diogenemagazine.it/cogito-ergo-sum/linguaggio-e-comunicazione/172-la-linguistica-generativo-trasformazionale-di-noam-chomsky.html
- https://it.wikipedia.org/wiki/Grammatica_trasformazionale
- http://www.treccani.it/enciclopedia/antropologia-cognitiva_%28Enciclopedia-Italiana%29/
- http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/psicologia-pedagogia/Psicologia/La-storia-della-psicologia/Comportamentismo.html
[1] Il braille fu messo a punto dall’inventore francese Louis Braille (Coupvray, 4 gennaio 1809 – Parigi, 6 gennaio 1852) nella prima metà del XIX secolo.
[2] Hz è il simbolo dell’hertz, l’unità di misura della frequenza nel Sistema Internazionale delle Unità di Misura istituito nel 1960; prende il nome dal fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (Amburgo, 22 febbraio 1857 – Bonn, 1 gennaio 1894).
[3] I feromoni o ferormoni sono molecole biologiche volatili odorose prodotte ed emesse nell’ambiente dagli organismi viventi per inviare segnali informazionali ad altri individui della stessa specie.
[4] Uno dei primi ricercatori a studiare e a decifrare la danza delle api fu l’etologo austriaco Karl Ritter von Frisch (Vienna, 20 novembre 1886 – Monaco di Baviera, 12 giugno 1982), premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1973, assieme a Nikolaas Tinbergen (L’Aia, 15 aprile 1907 – Oxford, 21 dicembre 1988) e a Konrad Zacharias Lorenz (Vienna, 7 novembre 1903 – Altenberg, 27 febbraio 1989).
[5] L’ipotesi di Sapir-Whorf prende il nome dal linguista e antropologo statunitense di origine tedesca Edward Sapir (Lębork, 26 gennaio 1884 – New Haven, 4 febbraio 1939) e dal suo allievo Benjamin Lee Whorf (1897 – 1941).
[6] La memoria qui va all’ottimo e originale film di fantascienza “Arrival” (2016), diretto da Denis Villeneuve, in cui i logogrammi circolari utilizzati dagli alieni eptapodi per comunicare con Louise Banks, la linguista interpretata da Amy Adams, riflettono la concezione che essi hanno del tempo, che non è lineare, come si è abituati a pensare, ma circolare, dove il passato, il presente e il futuro possono coesistere nello stesso punto del continuum spazio-temporale, una visione che ritroviamo, peraltro, in certe correnti di pensiero filosofico orientali!
[7] Gli ideogrammi cinesi e giapponesi sono logogrammi.
[8] La lingua parlata dai Pirahã deriva dalla lingua Mura, i cui dialetti si sono estinti, quindi quello dei Pirahã è un idioma unico ed isolato, senza che vi sia alcuna lingua affine o minimamente somigliante.
[9] In estrema sintesi, la grammatica generativo-trasformazionale è una rivoluzionaria teoria linguistica elaborata da Avram Noam Chomsky negli anni cinquanta, secondo cui una qualsiasi lingua naturale è formata da frasi nucleari e frasi non-nucleari; quest’ultime sono frasi complesse che derivano dalle prime attraverso determinate operazioni dette “trasformazioni”. Secondo Chomsky, la grammatica è sia generativa sia trasformazionale, perché genera tutte le frasi complesse di una lingua in seguito alla trasformazione delle frasi nucleari. La grammatica di Chomsky implica l’esistenza di una creatività insita in essa e soggiacente a determinate regole e principi, che consentono di costruire un numero virtualmente infinito di frasi, utilizzando un numero finito di parole e di regole; ciò significa che è possibile combinare le parole in molteplici modi per formare frasi differenti e, quindi, esprimere concetti diversi. Una tale versatilità linguistica fa pensare all’esistenza di principi grammaticali universali legati all’architettura cerebrale dell’uomo, che regolano inconsciamente la creazione del linguaggio; lo dimostrerebbe la capacità dell’uomo di costruire e comprendere un numero pressoché illimitato di proposizioni sempre nuove e mai lette o udite in precedenza.
[10] L’antropologia cognitiva è il ramo dell’antropologia culturale che si occupa dello studio delle funzioni cognitive dell’uomo in relazione ai contesti culturali in cui esse si esplicano.
[11] La psicologia comportamentale o comportamentismo, è la branca della psicologia che si occupa dello studio del comportamento dell’uomo, più precisamente degli aspetti esteriori della sua attività mentale.
[12] L’esobiologia (termine coniato da Joshua Lederberg nel 1960, per distinguere questa disciplina dalla biologia spaziale), nota anche come astrobiologia (termine apparso per la prima volta nel 1941, nel titolo di un lavoro di L.J. Lafleur; nel 1953, fece nuovamente la sua comparsa nel titolo di un libro di Gavriil Tikov) o bioastronomia (termine coniato da Michael D. Papagiannis dell’Università di Boston nel 1982), è una disciplina scientifica multidisciplinare, di formazione relativamente recente, a cavallo tra l’astronomia e la biologia (gli astronomi tendono a considerarla una branca della loro materia di studio mentre i biologi, dal canto loro, ne rivendicano l’origine dalla biologia), che si occupa dello studio della vita nel cosmo, per la precisione dello studio dell’evoluzione della vita al di fuori della Terra.
[13] La teoria dei numeri è quella branca della matematica pura, nota anche come “aritmetica”, che si occupa dello studio delle proprietà dei numeri interi.